Non vogliamo che Costui regni su di noi. Traducción de conferencia

Presentamos aquí la traducción de una conferencia dictada el 22 de Enero de 2023 en Madrid (https://www.youtube.com/watch?v=njOqK4eksKk) que, gracias a la generosidad de un lector, pudo ser traducida a la lengua del Dante.


Non vogliamo che Costui regni su di noi

P. Javier Olivera Ravasi, SE

 

PRESENTATORE.

Oggi abbiamo il privilegio di avere con noi P. Javier Olivera Ravasi che ringraziamo di cuore per aver accettato l’invito dell’Associazione culturale Luz de Trento per questa conferenza. Ringraziamo anche tutti voi per essere accorsi tanto numerosi. Bene, padre Olivera Ravasi è fondatore e direttore del canale Que no re la cuenten (Non lasciarti imbrogliare). è un sacerdote cattolico, apostolico e romano. Si è laureato in legge nella facoltà di diritto nell’Università di Buenos Aires. Nel 2002 è entrato in seminario. Per concludere i suoi primi anni di studio è stato inviato in Europa dove si è dottorato in filosofia nella Pontificia Università Lateranense di Roma, nel 2007, e nel 2008 è stato ordinato sacerdote. Ha ottenuto il dottorato in storia ed è professore universitario in scienze giuridiche e sociali. Attualmente è cappellano e vicedirettore del progetto educativo Sedes sapientie di Buenos Aires. E anche autore di 11 libri e di veri articoli e pubblicazioni nazionali e straniere. È membro dell’Istituto di investigazioni storiche Juán Manuel de Rosas, e co-fondatore dell’Ordine di San Elia, che è una società di vita apostolica che ha per fine la missione ad gentes e l’apostolato della controrivuluzione culturale. Prima di dare la parola al padre Ravasi, vorrei fare un appello a tutti perché sappiamo essere militanti nella testimonianza della fede e sempre presenti a questi appuntamenti culturali. Sappiate anche condividere con altri queste iniziative attraverso le reti sociali. Questo nostro impegno deve essere fatto con gioia per Dio e per la Spagna e per coloro che verranno dopo di noi, in modo da creare una società più cristiana. Lascio ora la parola a P. Olivera Ravasi.

P. Olivera Ravasi. – Prima di tutto desidero ringraziare per l’invito. Sono lieto di aver fatto questo viaggio assieme ai miei ragazzi. Sono alunni della scuola in cui insegno. Li torturo col latino, con le lingue classiche e con la storia. Abbiamo fatto questo viaggio di fine corso, prima che inizino l’Università. Abbiamo pensato che non ci fosse cosa migliore che visitare la madre patria. Per me non è solo un piacere enorme, ma anche un dovere di giustizia e di riconoscenza restituire qualcosa alla Spagna di quanto abbiamo ricevuto da lei. (grande applauso).

Vi dicevo che per me è un dovere di giustizia parlare in Spagna, specialmente perché quando uno viene da fuori, non per quanto riguarda il tema che tratterò oggi, ma per quanto riguarda la ispanità. Ecco, vedere una specie di complesso di inferiorità nell’uomo e nella donna spagnola a causa della leggenda nera che ci hanno messo in testa e che è meglio toglierla dalla nostra mente e gettarla nei rifiuti. Dobbiamo invece essere orgogliosi del nostro sangue spagnolo. Non solo di quello che scorre nelle nostre vene, ma del tanto sangue sparso durante questi 5 secoli, ma in modo particolare in questi ultimi decenni. Se penso a questi fatti sanguinosi mi viene la pelle d’oca, anche perché sono pronipote di un martire della crociata spagnola. Vi rendete conto di che cosa significa per me tutto ciò?

Abbiamo visitato, per esempio, l’Alcazar, e mi dispiace per il denaro speso per le delle autentiche stupidaggini. Però, il fatto di essere lì, di poter vedere la cattedrale al cui interno c’è la Vergine dell’Alcazar, che è stata macchiata dal sangue di coloro che la difesero durante l’assedio dei “rojos” (i rossi comunisti e repubblicani durante la Guerra civile Spagnola, 1936-1939). Pensando a quel sacrificio mi son commosso alle lacrime. Dobbiamo avere un sano orgoglio pe il nostro sangue spagnolo, e nello stesso tempo ringraziare Dio per poter conoscere la nostra vera storia. Non è per nostro merito se per grazia di Dio, per la nostra famiglia o per l’educazione ricevuta abbiamo potuto conoscere la vera storia della nostra patria.

Bene, la conferenza che ho preparato per voi l’ho preparata anche per quella che terrò dopodomani a Valencia. Il titolo è: Non vogliamo che Costui regni su di noi. Spero che possiate vedere bene le immagini, però la conferenza è piuttosto semplice ed è una specie di meditazione a riguardo della storia della Chiesa e di questa RIVOLUZIONE ANTICRISTIANA che stiamo soffrendo fin dal principio dei secoli.

Il titolo della conferenza ci ricorda un passo del Vangelo di San Luca 19, l’evangelista che è anche medico. Egli ci riporta la parabola che Gesù raccontò molto probabilmente nella casa di Zaccheo, il piccolo Zaccheo, il piccolo pubblicano, che aveva voluto vedere il Re dei re, il Signore dei signori. La famosa parabola delle mine nella quale ci si riferisce, non alla prima venuta del Messia, ma alla seconda. Sicuramente ce la ricordiamo. Un re lascia in amministrazione varie mine (circa 5 kg di argento), e ritorna al suo regno per avere, al suo ritorno, il rendiconto dell’amministrazione. «E chiamò dieci servi, dando a ciascuno una miniera da sfruttare, ma quando si ritirarono, essi stessi mandarono un’ambasceria dicendogli: “Non vogliamo che regni su di noi.»

Tuttavia, dicono i Vangeli, alcuni negoziarono con le mine e, quando il re tornò, uno consegnò il doppio di quanto gli era stato dato, un altro lo stesso più la metà, e un altro solo la mina ricevuta. Nulla viene detto dei restanti sette. A questo punto il re dice: «Quanto ai miei nemici, che non hanno voluto che io regnassi su di loro, portateli qui e uccideteli in mia presenza». Ecco quanto è stato drastico il Principe della Pace…

1. PRIMO GRIDO: «non vogliamo che Egli regni«

Tuttavia, il rifiuto del Figlio di Dio non avviene solo nella storia terrena; secondo diversi Santi Padri e secondo la Tradizione della Chiesa, il grido di non serviam, «non servirò», risuonò per la prima volta alle origini della metastoria quando Dio Nostro Signore, nella sua infinita misericordia e nell’attesa della redenzione dal peccato originale, comunicò agli angeli il modo con cui andava a redimere il genere umano per mezzo dalla Beata Vergine. A questo proposito, l’Apocalisse 12, 1-5, dice: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono». 

Qui possiamo notare come sia implicita la negazione angelica di servire Dio. Ci sono perciò due urla; due urla che si fondono in una. Una all’inizio e l’altra alla fine della storia. All’inizio della salvezza e alla sua conclusione: «Non servirò», «non vogliamo che regni su di noi». Sono queste due grida che, scegliendo due amori, creeranno due diverse città, come dice sant’Agostino nel suo libro La Città di Dio: «l’amore di Dio fino al disprezzo di sé forma la Gerusalemme celeste; l’amore di sé fino al disprezzo di Dio, forma la Babilonia terrena». E questi due amori che si mescolano in due città sono avvenuti anche misticamente e realmente lungo tutta la storia umana. Sono esistiti dall’inizio dei tempi nel popolo ebraico prima della venuta del Messia di Yahweh e continueranno ad esserci fino alla fine dei tempi, quando il Re verrà per verificare come sono stati amministrati

2. SECONDO GRIDO: i tradimenti di Israele

Chiunque visiti le chiese europee vedrà che Israele è normalmente rappresentato da una donna incoronata ma, allo stesso tempo, bendata. È l’immagine allegorica della Sinagoga che volontariamente non volle vedere le promesse di Dio, perché molto prima del «non vogliamo che regni su di noi», cioè molto prima della Passione di Nostro Signore, Israele aveva deciso di non servire il Re e di preferire Cesare. Era Israele che adorava il vitello d’oro; è stato Israele che ha ucciso i profeti; fu Israele che fornicò con i re della terra e, una volta cieco, gridò: «Crocifige! Crocifiggilo!» (Gv 19). Anche gli Atti degli apostolici parlano di questo rifiuto.

«O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori».

Lo disse anche Santo Stefano con enorme parresia. È quella stessa città che, lungo tutta la storia, Israele ha cercato di farne «una di calce e l’altra di sabbia», come denunciava il profeta Elia dicendo ai suoi fratelli: “Per quanto tempo zoppicheranno su entrambe le gambe? Se il Signore è Dio, seguilo; se è Baal, seguite lui!» (1 Re 18,213. I

3. IL TERZO GRIDO: Grecia e Roma.

Quando sarà finito il tempo di Israele verrà il tempo delle nazioni, cioè il tempo dei Gentili, perché dopo la venuta del Re, l’antica alleanza è scaduta perché, secondo San Tommaso d’Aquino, (1225-1274), era mortale.

E Dio Nostro Signore, approfittando dei veri semina Verbi disseminati dalla sua prodigalità nella cultura greco-romana, ne approfitterà per rendere questi popoli preordinati alla vita eterna (tetagmenoi, dice il testo greco). Tutto ordinato per lodare il vero Re dei cieli che li riporterà nella tanto attesa Età dell’Oro, come narra Virgilio nella sua profetica Egloga

«Ora dal canto di Cuma viene l’ultima età/. Ora rinasce un grande ordine di secoli/. Torna anche la vergine, tornano i regni di Saturno/. Già una nuova progenie è inviata dall’alto del cielo. Fu Roma, l’eterna Roma, con tutto il suo ordine latino e la sua eredità greca, che, grazie all’eredità linguistica e alla cultura greca, ai suoi modi e all’onnipresenza imperiale, permise alla Buona Novella di diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo conosciuto.

Ma fu anche Roma che, appena vide che il Re dei re non voleva disputare i suoi troni con «i signori e gli dèi della terra» (Sal 15), cominciò a perseguitare i primi cristiani per aver adorato l’unico Dio che dovrebbe essere adorato; tanto che i protomartiri romani furono accusati di ateismo per non aver messo sullo stesso piano il vero Dio e i falsi dei.

Ricchi e poveri, vecchi e bambini, uomini e donne sono venuti a offrire la loro vita al grido del non possumus, «non possiamo», perché non potevano servire un altro re che non fosse il Re dei re. E così andarono al martirio, cioè alla suprema testimonianza, come narra Eusebio di Cesarea: “In Arabia hanno ucciso con un’ascia. In Cappadocia, alcuni venivano appesi a testa in giù per i piedi e sotto di loro veniva acceso un fuoco in modo che il fumo li soffocasse. A volte i loro nasi, orecchie e lingue venivano tagliati. Nel Ponto affondavano canne affilate sotto le unghie o versavano piombo fuso nelle parti più sensibili” [1].

Ecco da dove verranno i primi martiri, in un tempo in cui non c’era nemmeno il sesso debole, la ferocia è diminuita. Tutti, uomini e donne, soffrirono indicibili tormenti: Lino, Cleto, Clemente, Sisto… Agata, Lucía, Cecilia, Anastasia, eccetera. E così, secondo la celebre frase di Tertulliano, “il sangue dei martiri sarà seme di nuovi cristiani”.

Ma Roma, l’eterna Roma, dopo i secoli di persecuzione, accetterà la Fede cristiana con l’imperatore Costantino e la ufficializzerà con Teodosio il Grande (379-395), tanto che, secondo san Leone Magno (440-461): «Colei che era maestra d’errore divenne una discepola della verità…». E verrà un tempo in cui, con i loro vantaggi e svantaggi, gli imperatori accetteranno il Re dei re come loro sovrano.

4. QUARTO GRIDO: l’arianesimo

«Fu tra le persecuzioni e le consolazioni di Dio, secondo sant’Agostino, che quando il cristianesimo cominciava ad essere tollerato, risuonò il grido empio di un Cristo edulcorato, un Cristo che, nonostante la sua potenza, non era altro che una creatura». Questa fu l’eresia di Ario, un sacerdote; la tremenda eresia che, diffusasi nel mondo cristiano, fece esclamare a San Girolamo (morto nel 420,) che «all’improvviso il mondo si svegliò Ariano». E Fu una nuova battaglia contro il Dio, come narra San Basilio (330-379:

“Quando il Diavolo vide che, nonostante la persecuzione che partiva dai pagani, la Chiesa cresceva e fioriva ancora di più, modificò il suo disegno e non combatté più apertamente, ma preparò la segreta persecuzione, nascondendo il suo tradimento sotto il tuo stesso nome (il nome di cristiano), in modo che ora soffriamo come i nostri padri hanno sofferto ai loro giorni, ma la sofferenza è ancor maggiore perché anche i persecutori sono dei cristiani” [2].

Il quadro sembrava impossibile: la maggior parte dei vescovi aderiva all’eresia ariana; lo stesso Papa aveva firmato un credo semiariano e solo un paio di vescovi fedeli rimasero con la vera Fede insieme al popolo, cosa che fece dire al grande sant’Atanasio, (Morto ad Alessandria d’Egitto nel 373): «Loro hanno i templi, noi abbiamo la Fede». Fu, secondo quanto narra il Beato Card. Newman, il popolo fedele, il sensus fidei fidelium, il senso di Fede dei fedeli che fece durare la sana dottrina, nonostante anche i vescovi avessero tradito, come giustamente osserva Newman: “il popolo cattolico, in tutta la cristianità, fu un ostinato paladino della verità cattolica; i vescovi no» [3].

E così, quella che sembrava una battaglia persa e un nuovo tentativo di detronizzare Nostro Signore Gesù Cristo, fu miracolosamente sconfitto da un gruppo di invincibili apostoli che, contro ogni previsione, rimasero sulla Nave di Pietro anche se sembrava sul punto di affondare.

5. IL QUINTO GRIDO: i barbari

Il quinto grido è quello dei barbari; quei popoli indomabili che, dalla metà del V secolo, cominciarono a devastare l’Impero, come narra san Girolamo: «La mente trema quando si pensa alla rovina dei nostri giorni. Da più di vent’anni il sangue umano scorre incessantemente su una vasta distesa… i Goti, gli Unni e i Vandali seminarono desolazione e morte […]. Quanti nobili romani sono stati loro preda! Quante fanciulle e quante matrone sono state vittime dei loro istinti libidinosi! I vescovi sono in prigione. Sacerdoti e chierici vengono uccisi a fil di spada. Le chiese vengono profanate e saccheggiate. Gli altari di Cristo vengono trasformati in stalle. I resti dei martiri vengono profanati e gettati lontano dalle loro tombe. Ovunque dolore, lamento; ovunque l’immagine della morte. (…). La mia voce si strozza e i singhiozzi mi interrompono (…). La città che ha conquistato l’universo è stata conquistata… quando quella città è caduta l’Impero è crollato”.

Tutto sembrava crollare; tutto ciò che, per un certo tempo, gli imperatori cristiani avevano favorito, sembrò crollare a causa di questa orrenda irruzione. Sembrava quasi che Dio non desse tregua o che non volesse regnare senza che i suoi sudditi combattessero per difenderlo.

I barbari, provenienti da tutte le parti del pianeta, si scontrarono e incontrarono però non solo con Roma, la Roma imperiale, ma con la stessa Chiesa che, a poco a poco e con uno sforzo colossale, riuscirà nello stesso tempo a catechizzarli e civilizzarli.

E verranno i Franchi, i figli di Clodoveo, il primo regno occidentale convertito al cristianesimo per opera e grazia dello Spirito Santo. E la barbarie comincerà a trasformarsi in umanità cristiana grazie alla comparsa dei monaci, capaci di trasformare le paludi in sorgenti e le pietre in frutteti.

Il barbaro vichingo indosserà un cappuccio monastico e userà la sua spada solo per difendere la sua fede, la sua religione o la sua signora. E così emergerà la Cavalleria, la forza armata al servizio della verità disarmata, come la definiva il compianto padre Sáenz. E Cristo, Re dei re e signore dei signori, tornerà a vivere.

6. SESTO GRIDO: Maometto e le Crociate

E verrà quell’eresia giudaico-cristiana, un misto dell’Antico Testamento e dell’eresia nestoriana che è l’Islam con la sua guerra «santa» e il suo dominio A sangue e fuoco di tale portata che non ci sarà quasi più memoria del cristianesimo nel Nord Africa, un tempo patria dello stesso sant’Agostino.

Ancora una volta, il principe di questo mondo farà in modo che il Re dei re sia retrocesso al rango di un profeta in più, e la Vergine Santa al rango di madre del profeta Gesù finché, arrivando alla fine dell’XI secolo, tutto cambierà con la presa di Gerusalemme da parte dei figli della Mezzaluna.

«Da Gerusalemme e da Costantinopoli giungono tristi notizie… Una razza maledetta, fuori dal regno dei Persiani, un popolo barbaro, lontano da Dio, ha invaso le terre cristiane e le ha devastate (…). Gli invasori profanano gli altari, circoncidono i cristiani e versano il sangue della circoncisione sugli altari o sulle fonti battesimali (…). Se volete salvare le vostre anime dovete cambiare rotta. Marciare in difesa di Cristo. Tu (principe), che sei in continua lotta, fai guerra agli infedeli. Voi che siete ladri, diventate soldati. È una guerra per una giusta causa. Lavorate per un compenso eterno.»

E così inizieranno le Crociate, le Crociate che non erano altro che una guerra difensiva contro l’Islam invasore. E i soldati di Cristo Re vinceranno per un po’, vinceranno e libereranno i prigionieri; e ci saranno ordini militari, ordini ospedalieri, e la violenza sarà così giustificata che vi parteciperanno anche lo stesso San Francesco d’Assisi o lo stesso San Luigi Re di Francia. E ci sarà un re a Gerusalemme, Goffredo di Buglione, quello che ha preferito non portare una corona d’oro dove Gesù ha portato quella di spine.

7. SETTIMO GRIDO: l’umanesimo rinascimentale

Durante le Crociate, con le loro conquiste ed errori, la Chiesa vide un tempo di gloria, un tempo in cui, secondo Leone XIII, «la filosofia del Vangelo reggeva gli stati» (Immortale Dei), non è che in questo tempo la santità fiorisse spontaneamente; si peccava e si peccava fortemente, ma si era consapevoli di peccare.

Questo è stato il tempo in cui Dio veniva servito per primo, il primo ad esser servito, come diceva santa Giovanna d’Arco. Erano tempi in cui si credeva ancora che solo Dio fosse per sé (Es 3,14) e il resto per partecipazione. Un tempo in cui fiorì la sapienza del più santo dei sapienti e del più sapiente dei santi: Tommaso d’Aquino. (1225-1274). Ma fu anche  il tempo in cui si cominciò a perdere il Centro e, per lo scetticismo sommato alle ambizioni politiche dei piccoli re di turno, l’uomo cominciò a perdere il centro per concentrarsi su se stesso; è il grido di Prometeo che cerca di scatenarsi.

Così, dalla pittura alla musica, dalla letteratura alla filosofia, passando per la spiritualità e il diritto, a poco a poco tutto il mondo culturale comincia a puntare non più su Dio, il Re supremo, ma sull’uomo, il re di questa terra. E Pico della Mirandola (1463-1494), poté dire: «nulla di umano mi è estraneo«, seguendo Terenzio. (Attivo a Roma dal 166 al 160 a. C.)

«Non vogliamo che lui governi su di noi», dirà timidamente l’uomo rinascimentale che vuole governare al suo posto. E così, a poco a poco, l’uomo moderno si dissocerà dalla stessa realtà, naturale e soprannaturale, per addentrarsi puramente nella propria interiorità, nella propria natura. Tutto viene messo in discussione e la realtà comincerà ad essere secondo la propria volontà individuale, secondo il cartesiano cogito: cogito ergo sum, che, più letteralmente, potrebbe tradursi, «voglio, dunque sono«, secondo l’insegnamento di Cornelio Fabro. Grande teologo. 1911-1995).

E così, mano nella mano, verrà un nuovo grido: l’ululato protestante.

8. OTTAVO GRIDO: la rivoluzione protestante

La rivoluzione umanista, con il suo centro nella persona, lascerà il posto a un personaggio che, sfruttato dai governanti del tempo, spezzerà in due il cristianesimo: si tratta di Martin Lutero, il frate tedesco apostata che con i suoi scritti e le sue omelie fece in modo che ciascuno, con il tempo, finisca –come disse ironicamente Voltaire- col farsi Papa di se stesso.

“Cristo” -nel mondo protestante- “è chiaramente il centro; il re” – ci verrà detto. Ed è vero. Ma è un re che è già passato attraverso il setaccio della soggettività e della libera interpretazione. Un re che governerà secondo le leggi che ognuno si fa e che, quindi, regnerà solo in una realtà virtuale. L’uomo, secondo Lutero, era così corrotto che anche la sua stessa intelligenza doveva essere scartata.

«La ragione – diceva – è direttamente opposta alla fede; dovrebbe esser abbandonata; nei credenti deve essere uccisa e seppellita [4] (…). È impossibile mettere d’accordo la fede con la ragione. [5] (…). Devi abbandonare la tua ragione, ignorarla, annientarla completamente, altrimenti non entrerai in Paradiso (…) [6]. La ragione è la prostituta del diavolo” [7].

E così, separati dal tronco della Chiesa, i tralci seccheranno a poco a poco, diffondendosi in varie sette che, pur mantenendo alcune verità fondamentali, si sono separate dalla grazia che viene attraverso i sacramenti, dicendo: «Cristo sì, Chiesa no».

Qualcosa di analogo a ciò che accade ai nostri tempi: alcuni della nostra Chiesa cattolica vogliono definire Lutero quale «testimone del Vangelo«, volendo costituire una Chiesa à la carte, come è avvenuto poche settimane fa con la minaccia di diversi Vescovi tedeschi di fare uno scisma se «la Chiesa non cambia» la sua posizione riguardo ai sodomiti, ai divorziati, ecc.

9. NONO GRIDO: il laicismo liberale della Rivoluzione francese.

Con gli animi accesi dal soggettivismo imperante, dal cattolicesimo partigiano e dalla decadenza del clero e del potere politico, i «filosofi» del «Secolo dei Lumi» saranno coloro che, come se avessero visto chiaramente gli avvenimenti futuri, progettano la grande rivoluzione liberale che culminerà nella sanguinosa Rivoluzione Francese, una rivoluzione in cui non ci sarà né fraternità, né uguaglianza, né libertà. È stata l’ideologia liberale che, esaltando la libertà, ne farà il fine ultimo dell’uomo fino a proclamarla autonoma sia dalla Rivelazione che dalla retta ragione. “Dio sì, Cristo no”, diranno, dove, alla fine, il Dio esaltato sarà il Dio dei deisti, il Dio dei massoni, un Dio che non regna poiché, parafrasando l’agnostico Borges, il mondo “sarà lontano”.

Sarà la tremenda Rivoluzione francese, madre di tutte le rivoluzioni moderne, che devasterà intere città, massacrando quanti si oppongono al «progresso» liberale come dimostra il genocidio in Vandea, regione cattolica, monarchica e controrivoluzionaria che grida «Cristo Re” dicendo per bocca di uno dei suoi capi: “se avanzo, seguimi, se torno indietro, uccidimi, se muoio, vendicami” (Henri de La Rochejaquelein). Quei movimenti liberali saranno gli stessi che attaccheranno coloro che, in queste terre, cercano la sovranità di Dio sulla sovranità popolare, come il martire della massoneria, don Gabriel García Moreno, presidente dell’Ecuador che, uscendo dalla cattedrale di Quito, fu iniquamente assassinato da un sicario della setta. Egli, prima di morire, sussurrò: «Dio non muore, Dio non muore…».

10. DECIMO GRIDO: Il marxismo ateo.

Il grande Dostoevskij (1821-1881?, disse in un memorabile romanzo intitolato «i Demoni» che, da genitori liberali, nascono figli comunisti. E questo non nasce per una possibile “dialettica” o contrapposizione tra genitori e figli, ma dal fatto che la radice che genera l’uno e l’altro è la stessa. Il liberalismo è il padre del marxismo perché entrambi hanno la stessa matrice, lo stesso epicentro: è l’uomo decaduto, l’uomo «nuovo», l’uomo separato dalla sua tradizione primordiale che prescinde dalla realtà stessa, facendosi dio e intronizzandosi in un piedistallo.

Si postula quindi l’invenzione di Dio, come dice Feuerbach o “la morte di Dio”, come propone Nietzsche. E – ancora Dostoevskij – se Dio non esiste, tutto è permesso (come proponeva Iván Karamazov);  E è così!

Proprio all’alba del XX secolo, coloro che vissero per Cristo Re nella guerra dei Cristeros in Messico furono massacrati dall’odio dei deicidi, come fu il caso del beato Anacleto González Flores, padre di famiglia, avvocato e insegnante, che disse: “Fu la Vandea a mettere a tacere la storia nonostante il massacro subito”. E: “Non c’è più la Vandea. È morta sotto la nostra sciabola libera, con le sue mogli e i suoi figli. L’ho appena seppellita nelle paludi (…). Ho schiacciato bambini sotto i piedi di cavalli e massacrato donne (…). Non ho un prigioniero da rimproverarmi (…). Non facciamo prigionieri (…). La misericordia non è rivoluzionaria…» [8].

Quella stessa rivoluzione liberale cercherà di porre fine a Cristo Re non solo in Europa, ma anche in America, nella nostra America cattolica. E proverà a farlo per prima, appropriandosi di una legittima autonomia da una monarchia spagnola intrisa di liberalismo nei suoi re borbonici, dominata da Napoleone e soggiogata alle idee francesi e borboniche dell’epoca.

Quei movimenti liberali saranno gli stessi che attaccheranno coloro che, in queste terre, cercano la sovranità di Dio sulla sovranità popolare, come il martire della massoneria, don Gabriel García Moreno, presidente dell’Ecuador che, uscendo dalla cattedrale di Quito, fu iniquamente assassinato da un sicario della setta per sussurrare, prima di morire: «Dio non muore, Dio non muore… Viva Cristo Re!«. (9)

E accadrà anche in Spagna, nella profonda Spagna che, durante gli anni ’30, fu il popolo scelto per imporre il marxismo con le unghie e con i denti attraverso il marxismo sovietico. C’erano anche lì i martiri e gli eroi; perché la Spagna insorse in una vera Crociata che fermò le azioni del comunismo, issando il vessillo della Regalità di Cristo.

E perché non parlare dei nostri martiri argentini! Sacheri, Genta, per citare solo due devoti di Cristo Re, come affermarono i loro stessi carnefici dopo averli vigliaccamente uccisi: “Consapevole della fervida devozione che gli estinti che professavano Cristo Re, di cui si dicevano infaticabili soldati, la nostra comunità ha atteso le festività di Cristo Re secondo l’antico e nuovo “ordo missae” e ha consentito ai nominati di ricevere la comunione dal dolce Corpo del loro Salvatore affinché potessero incontrarlo nella gloria”.

Così, per riassumere quest’ultima parte, lo disse quel grande pontefice che fu Pio XII: “Negli ultimi secoli… si volle la natura senza grazia: ‘Cristo sì e la Chiesa no’ (Rivoluzione protestante. Poi Dio sì e Cristo no (Rivoluzione liberale). Infine il grido empio: Dio è morto (Rivoluzione comunista)” (Pio XII, 10/12/1952):

11. L’ULTIMO GRIDO: non vogliamo Cristo nella Chiesa

Come è noto, Cristo non regna più negli stati, né nelle università, né nelle scuole…; difficilmente regna in alcune famiglie.

Ma potremmo anche chiederci: Cristo regna davvero nella Chiesa?

Padre Castellani dice che la Chiesa, essendo il Nuovo Israele, il nuovo depositario delle promesse, alla fine dei tempi soffrirà la stessa agonia che patì la Sinagoga prima della prima venuta di Nostro Signore; cioè, come prima la Sinagoga era diventata priva di senso perché avevano trasformato la religione del Padre «in tradizioni di uomini» (Mc 7,7), così avverrà con la Chiesa.

Anche padre Meinvielle, altro luminare della nostra Chiesa, nell’ultimo paragrafo del suo ultimo libro (Dalla Kabbalah al Progressismo) [10], dice: «Sappiamo che il mysterium iniquitatis sta già operando (II Tes, II, 7); ma non conosciamo i limiti del suo potere. Tuttavia, non è difficile ammettere che la Chiesa della pubblicità può essere conquistata dal nemico e diventare una Chiesa gnostica da una Chiesa cattolica. Ci possono essere due Chiese, una quella della pubblicità, una Chiesa ingigantita nella propaganda, con vescovi, preti e teologi pubblicizzati, e anche con un Pontefice dagli atteggiamenti ambigui; e un’altra, Chiesa del silenzio, con un Papa fedele a Gesù Cristo nel suo insegnamento e con alcuni sacerdoti, vescovi, fedeli a lui fedeli, sparsi come «pusillus grex» per tutta la terra. Questa seconda sarebbe la Chiesa delle promesse, e non quella prima, che potrebbe disertare. Lo stesso Papa presiederà entrambe le Chiese, che apparentemente ed esteriormente sarebbero una sola. Il Papa, con i suoi atteggiamenti ambigui, darebbe adito a mantenere l’equivoco. Perché, da un lato, professando una dottrina impeccabile, sarebbe stato capo della Chiesa delle Promesse. D’altra parte, producendo fatti equivoci e persino riprovevoli, sembrerebbe incoraggiare la sovversione e mantenere la Chiesa gnostica della pubblicità”.

E san Paolo ci dice qualcosa di simile: «Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole». (2 Tim 4,3). Questi tempi, che sembrano essere quelli che stiamo vivendo anche all’interno della stessa Chiesa, sono addirittura indicati dallo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica che ci dice:

Prima dell’avvento di Cristo, la Chiesa dovrà attraversare una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti (cfr Lc 18,8; Mt 24,12). La persecuzione che accompagna il loro pellegrinaggio sulla terra (cfr Lc 21, 12; Gv 15, 19-20) rivelerà il «mistero dell’iniquità» sotto forma di una impostura religiosa che offrirà agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi attraverso il prezzo dell’apostasia dalla verità» [11].

È, a quanto pare, davanti a questo nuovo grido, simile a quello della prima Settimana Santa della storia, che brulica oggi buona parte del mondo cattolico, anche in buona parte della sua gerarchia.

Cardinali contro cardinali, vescovi contro vescovi, sodomia nel clero, falsi martiri e accomodamento col mondo… Sembrava quasi che una parte della Chiesa dicesse con il popolo d’Israele quella fatidica frase del primo Venerdì Santo della storia: «Non vogliamo che Costui regni su di noi«… «non abbiamo altro re che Cesare«.

* * *

Di fronte a questa apparente desolazione in cui possiamo vederci sprofondati, cosa fare? come rispondere?

In primo luogo, sapere che, come dice san Paolo, «È necessario che Cristo regni finché non metta tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi» (1 Cor 15,25), quindi, se siamo veri servi del Signore , dobbiamo sentirci scelti da Lui, come dice sant’Ignazio, (EE.EE. n. 145) per andare come «apostoli, discepoli, ecc.», inviati «in tutto il mondo per diffondere la sua sacra dottrina in tutti gli stati e in ogni popolo», facendo non una controrivoluzione, ma l’opposto della rivoluzione anticristiana per restaurare il cristianesimo.

In secondo luogo, sapendo che la vittoria è già nostra, perché appartiene a Cristo che ha già vinto il mondo, Egli però vuole, perché quella vittoria si applichi, avere la nostra cooperazione, quindi – ci ricorda ancora Castellani – «non contano tanto le battaglie vinte seguendo Cristo Re, ma la qualità delle cicatrici subite nel suo nome».

E infine, sapendo che se quella che dobbiamo combattere oggi è la battaglia delle battaglie, combatteremo allegramente fianco a fianco, anche se siamo un pugno di uomini, alzando la testa, perché la nostra liberazione è vicina. (cfr Lc 21 ,28).

Viva Cristo Re!

P. Javier Olivera Ravasi, SE

 


[1] Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, VIII, 11.

[2] Scritti scelti del Santo Dottore della Chiesa Basilio Magno, nella Biblioteca dei Padri della Chiesa (Kosrl Pustet, München 1925) I vol., 162.

[3] Alfredo Sáenz, La Nave y las tempestades, Gladius, Buenos Aires 2002, T. I., 248.

[4] Weim., XLVII, 328, 23–25 (1537–1540).

[5] Weim., XLVII, 329, 29-30. “Ratio est omnium massimo impedimentum ad fidem”. Tischredem, Weim., III, 62, 28, n. 2904 a.

[6] Weim., XLVII, 329, 6-7.

[7] Weim., XVIII, 164, 24–27 (1524–1525).

[8] Alfredo Sáenz, La nave e le tempeste. L’epopea della Vandea, Gladius, Buenos Aires 2009, 168.

[9] Joaquín Blanco Gil, El clamor de la sangre, Rex-Mex, México 1947, 138. Questo udire per la “seconda volta” il grido di “Dio non muore”, riferito al martirio e alle ultime parole che, cinquant’anni prima, il presidente cattolico Gabriel García Moreno aveva pronunciato prima di essere martirizzato dalla Massoneria, nel 1875.

[10] Queste parole, durante tutto il mio seminario, io (P. Javier Olivera Ravasi) le ho conservate nel mio breviario affinché, quando mi trovavo in grande difficoltà, potessi leggerle per darmi forza.

 [11] CEC, n. 675.

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